All'apogeo della civiltà romana l'olivicoltura era una delle branche più sviluppate dell'agricoltura. Per spremere le olive erano utilizzati dei contenitori di pietra, sui quali i frutti deposti venivano pestati con mazze, bastoni o appositi utensili.
I "negotiatores oleari", riuniti in collegi di importatori, erano i soli commercianti abilitati a trattare l'"oro verde". Le contrattazioni delle partite avvenivano nella "arca olearia", una vera e propria borsa specializzata.
Gli autori latini che trattano l'agricoltura sono prodighi di consigli su come produrre l'olio. Nulla è lascito al caso: dalle varietà più adatte alla potatura, ai sistemi di raccolta, fino alle tecniche di frangitura. Plinio e Columella, per citare solo alcune fonti, censiscono dieci varietà diverse di olivi, e l'olio viene classificato in cinque categorie:
-"Ex albis ulivis" l'olio più pregiato ottenuto da olive verde chiaro;
-"Viride" generato da frutti che stanno annerendosi;
-"Maturum" frutto di olive mature;
-"Caducum" prodotto da frutti raccolti per terra;
-"Cibarium" spremuto da olive bacate e destinato agli schiavi.
Come tutte le prelibatezze era costoso: Plinio ricorda che il cavolo non era un piatto economico perché doveva essere condito con olio. Virgilio, dal canto suo, suggerendo una ricetta di agliata, consigliava l'uso di tanto aglio, tanto aceto, ma solo "poche gocce di olio".
L'olio assunse un ruolo fondamentale per la tavola e la cultura dell'epoca imperiale, tanto che Giulio Cesare costrinse le province vicine dell'impero a consegnare alla città molti litri di olio come tributo annuale. Il frutto dell'ulivo godeva di una tale considerazione che, in una civiltà basata su una rigida struttura militare e sul reclutamento obbligatorio, i cittadini che piantavano almeno un iugero (circa 2.500 metri quadri) di ulivi venivano dispensati dalla leva.
Sempre in quest'epoca le olive venivano servite anche nei pranzi più importanti, sia all'inizio che alla fine del pasto. Conservate in salamoia erano snocciolate, tritate e mescolate con il miele.
I primi sintomi della crisi di tanto splendore oleario si avvertirono nel III secolo. Il progressivo abbandono delle campagne alla cura degli schiavi, e le continue elargizioni degli imperatori, svuotarono le riserve di olio italico; la produzione nella nostra penisola diminuì e Roma anche per il suo consumo interno inizio ad attingere alle sue province spagnole e africane.
La caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche interruppero i contatti commerciali, facendo decadere l'olio da pianta sacra a specie rustica poco significativa.
Tratto da www.taccuinistorici.it

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